La casa di mio padre by Joseph O'Connor

La casa di mio padre by Joseph O'Connor

autore:Joseph O'Connor [O'Connor, Joseph]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Guanda
pubblicato: 2024-01-16T23:00:00+00:00


16

Vigilia di Natale 1943

ore 20.31

2 ore e 29 minuti prima dello «spettacolo»

Sul tetto dell’albergo in via di Porta Cavalleggeri, le sentinelle tedesche accendono il riflettore.

Il fascio di luce lo abbaglia attraverso le fessure delle persiane, griglie di bianco chimico sul pavimento e sulla perlinatura. Sul Sacro Cuore, gli occhi tristi di santa Bernadette Soubirous. Una fotografia del matrimonio dei suoi genitori nella cornice di latta.

È cominciata a metà settembre. Da allora, ogni notte. Un occhio sempre spalancato, insopprimibile. La lampada è stata rubata durante il saccheggio di Cinecittà, l’hanno trasportata per le strade come un ostaggio, legata sul cassone di un camion, una divinità di vetro, un filamento di tungsteno da faro, migliaia di watt. La sua luminosità confonde gli uccelli, li fa gracchiare e fischiare tutta la notte; punta sulla facciata del Collegio, il cancello d’ingresso e il giardino, il cimitero.

A un certo punto, neanche tanto tempo fa, l’albergo era una pensione per i pellegrini; adesso è un bordello e una bettola. («Dicono che la carta dei vini ci abbia guadagnato» è stata la battuta cinica di Jo Landini.) Dalla sua stanza, vede i fascisti andare e venire, sente le canzoni stucchevoli, sconce sulla Vaterland e il tonante raglio dei canti popolari degli ubriachi.

Una notte, sotto la minaccia delle armi, una squadra di prigionieri ha trascinato dentro uno Steinway rubato a un professore di musica, un ebreo; qualche Klaus dalle mani a badile l’ha maltrattato e poi l’hanno cosparso di benzina e gli hanno dato fuoco, per divertimento. Dalla sua finestra, sul lato opposto della strada, ha guardato il coraggioso pianoforte bruciare, il fumo rigurgitato nell’alba in un fracasso di bottiglie frantumate. E così ogni notte. Canti, strepiti. Il Reich è osannato, i comunisti ingiuriati. Le prostitute bistrattate.

In quelle notti, gli fa bene pensare all’edificio secolare che lo circonda. Alle chiese e ai palazzi vuoti. Decine di migliaia di stanze vuote. Conta le crepe del soffitto ascoltando la radio algerina in italiano o la BBC. Il possesso di una radio è punibile con dieci anni di carcere ma il pensiero di vivere senza è insopportabile. Finge di non sapere che molti dei seminaristi più giovani si sono procurati un apparecchio o se lo sono costruito. Nel Collegio oscurato, ascoltano il jazz a volume bassissimo, a volte con una sigaretta o addirittura una birra. Non sono affari suoi.

Attraverso il sibilo delle frequenze, i conduttori parlano di potenza di fuoco e navi da guerra. Manovre a tenaglia, aerei da caccia, pontoni. Intrecci crepitanti, strani echi interplanetari. Sentire le parole «London calling» lo consola, come la luna piena sul mare o il boato di un cannone amico. Sorgono dal fruscio le strade bagnate di Piccadilly, in seppia, tinte di melassa, acquerello di se stesse; oppure il Kerry, alle volte, l’aroma delle ginestre spinose lungo le mulattiere nella brughiera, simile al cocco.

Suo padre, il putter in mano, al quattordicesimo green di Killarney, occhiali scuri e ghette, abbronzato dalle risate di agosto.

Una sera di dicembre in cui qualcuno, che era stato a Glasgow al



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